sabato 20 aprile 2013

Svolta presidenzialista. Ringraziamo B. e Napolitano

Alla fine Berlusconi porterà a casa un altro merito: quello di aver dato la svolta presidenziali sta a questa Repubblica e non con un putsch come molti paventavano negli scorsi anni.
Di fatto, il ruolo del Capo dello Stato, rilevante nella nostra Costituzione come può esserlo un presidente in una repubblica parlamentare pura, ha avuto la prima vitale legittimazione politica - a scapito di quella istituzionale - a causa delle vicende e delle politiche perseguite dal governo berlusconiano e dal Pdl.
I tentativi di modificare la stessa carta costituzionale per garantirsi l'immunità necessaria a evitare i processi, le prove tecniche per imbrigliare il dettato costituzionale al fine di permettere future storture e svolte, appunto, presidenzialiste sono stati i veri detonatori del salto di qualità che il ruolo del Presidente della Repubblica ha registrato agli occhi dell'opinione pubblica e nell'immaginario collettivo.
Il 'non ci sto' di Scalfaro e alcune prese di posizione importanti di Ciampi dimostrarono già come l'inquilino del Quirinale non fosse un semplice notaio ma potesse insufflare nel dibattito politico e istituzionale elementi correttivi e migliorativi del percorso intrapreso, piu o meno responsabilmente, dai partiti nel Parlamento. 
Ma la vera svolta, il passaggio dalla blanda 'moral suasion' all'uso di strumenti extra-ruolo si è avuta solo nel settennato di Napolitano (che in queste ore si accinge probabilmente ad inaugurare un secondo mandato) prima con le blande prese di posizione contro Berlusconi, poi con l'avvio di na procedura di progressiva sostituzione al suo governo con la concreta costruzione - fuori da ogni recinto normativo e di prassi - di un governissimo tecnico-europeo (trasformatosi in breve in un pessimo esempio di tecnicissima politica con la candidatura di Monti a premier), infine con la formazione del comitato di 10 saggi scelti con criteri più che discutibili e con obiettivi ancora oggi incomprensibili. 
Saggi che si riuniscono in commissioni speciali prive di alcuna rappresentatività e soprattutto prive di alcuna istituzionalità nonostante la genesi di diretta emanazione del Presidente della Repubblica, anche questo un caso privo di ogni riferimento normativo o di prassi. 
Insomma, se Napolitano ha potuto ció che ha potuto è merito di Berlusconi e, se alla luce dell'estrema instabilità politico-istituzionale che ha trascinato nella crisi persino l'elezione del Capo dello Stato, si intravvede la (in)opportunità di una riforma costituzionale in senso presidenzialista è sempre (de)merito del Cavaliere.
Con l'ovvia, quanto ancor più probabile, combinazione di un sistema elettorale alla francese, semi presidenzialista a doppio turno che permette, in teoria, governi stabili sempre che non si incappi nella coabitazione che il caso italiano potrebbe tradurre in uno stallo e una condizione di persino maggiore instabilità e irresponsabilità rispetto a quella odierna. 
Chi ne gioverà, probabilmente, non saranno nè i cittadini italiani nè le istituzioni, ma almeno nel brevissimo periodo quei partiti o movimenti al momento più solidi, con una comunicazione più lineare e diretta, nonché con un sistema di governance interno disciplinato e irregimentato combinato ad un sistema di selezione della classe dirigente e del candidato presidente immediato, elementare e largamente (seppur irrilevante ai fini rappresentativi) condiviso. Vi viene in mente un partito o un movimento in particolare?

giovedì 18 aprile 2013

Le (vere) ragioni di Renzi per dire NO

Ci sono ragioni per il no di Renzi a Marini che sono squisitamente politiche e diverse da quelle che il sindaco di Firenze voglia farci credere.
Ha ragione, ad esempio, quando sostiene che l'ex presidente del Senato non rappresenta il paese odierno. Condivisibile la critica nei confronti di una figura di vecchio stampo, non tanto per l'età anagrafica, quanto per quella politica e per il retaggio di un 'certo tipo di politica' vecchia, seppur ancora non decrepita, che non farebbe gli interessi del Paese.
Ha ragione quando punta il dito contro Bersani bollando l'operazione "Lupo marsicano" come una tattica  del tutto sviluppata a fini di governance interna da parte del Segretario democratico.
Ma in questo senso ,e proprio in questi termini, Renzi commette l'errore di esporsi ad una analisi e ad una interpretazione meno generiche e forse più adatte al core del suo discorso: gli equilibri interni al Pd dal punto di vista dei moderati cattolici di cui si è fatto e si sta facendo promotore.
Inoltre c'è da registrare, almeno al momento, una certa convergenza tra gli obiettivi dei dalemiani e quelli dei renziani che è quella di far fuori la dirigenza attuale (bersaniano-franceschiniana) per riavviare un upgrade strutturale e gestionale del Pd.
 
Renzi infatti 'deve' silurare Marini perchè quest'ultimo rappresenta l'espressione di un'area del Pd in diretta competizione con il sindaco di Firenze. Lo si evicne persino dall'approccio e dal passo dialettico di Renzi che ieri sera a Le Invasioni Barbariche si è soffermato per ben due occasioni sulla cattolicità sua e di Marini.
In ballo per l'enfant prodige della Dc post-Mani pulite c'è la leaderhip moderata attraverso la quale conquistare quella dell'intero Pd. Un percorso possibile grazie al malcontento e al disagio socioeconomico che stanno caratterizzando il Paese.
Da un lato Renzi cavalca, sulla scia dell'approccio cristiano-sociale, il disagio cercando di filtrandone gli elementi squisitamente prepolitici e usando il grimaldello anticasta in funzione non solo critica ma anche, e soprattutto, positiva e propositiva. Dall'altro offre e propone agli scontenti e ai non facinorosi (che sono la stragrande maggioranza) una serie di appigli concettuali e di strumenti (politici e post politici) per sperare in un futuro migliore, puntando ad affrontare la crisi sociopolitica e socioeconomica non attraverso la catarsi del passaggio distruzione/ricostruzione ma attraverso un approccio mutuato dagli Usa e in particolare da tre figure di forte ascendente come JFK, suo fratello Robert e, ovviamente, Obama. Guardare al futuro avendo il coraggio di rompere con il passato nell'idea unidirezionale di forward, dell'avanzamento senza marce in dietro, del movimento continuo, però verso un traguardo visibile, condivisibile e per questo raggiungibile, fuori da ogni ragionevole dubbio.
 
In questo senso va individuata l'aspra critica che Renzi muove a Marini e ad un'ampia fetta dei dirigenti di area moderata. In termini tattici la scelta di Bersani e l'accordo con Berlusconi rappresentano per Renzi il migliore punto di partenza perchè legittima la considerazione: "questo Pd, così come è, è morto!" e resetta la memoria dell'opinione pubblica sulla sua presunta vicinanza a B.: "Bersani sarà pure peggio di Renzi se alla fine per il Colle ha fatto l'inciucio con B., a differenza di Renzi".
Non si tratta, però, di una corsa alla frantumazione del Pd, ma dell'esatto contrario e della condivisione di un medesimo obiettivo di lungo periodo individuato dallo stesso Bersani e dal suo entourage: creare un mastodontico contenitore politico che raccolga al suo interno i moderati cattolici, i riformisti e la sinistra. Solo che nei progetti del Segretario il nuovo Pd avrebbe dovuto ospitare una componente moderata renziana e una componente di sinistra vendoliana guidate con opportuna saggezza ma assoluta determinazione dallo stesso Bersani.
In realtà, al di là del leader, si tratta di un progetto di lungo corso, santificato in via di principio da Prodi e dallo stesso D'Alema, avviato con l'Ulivo nel 2006 e rilanciato poi nel 2008 quando con il neonato Pd veltroniano (quello del 33%) sembrava si fosse ad un passo dalla sua creazione. Una vasta area di governo con i partiti della sinsistra radicale fuori dall'agone politico, con l'ala diessina meno moderata, quella di Sinistra Democratica, nata già morta e un alleato, per quanto convenientemente piccolo come l'IdV, moderato ma con un certo appeal antipolitico che riuscisse a captare malcontento (quello più annacquato) antidiessino e antidemocristiano facendo - in teoria - da margine alla montante ondata antipolitica del Vaffaday.
Si tratta negli asupici dei suoi ideatori di un molosso politico finalmente al passo con i tempi, ovvero multiforme, multiplurale, multipolare e di fatto buono per tutte, o quasi tutte, le stagioni.
Un progetto che non è naufragato e probabilmente non naufragherà con l'abbattimento di Bersani (vivaddio il Pd è l'unica formazione non lideristica nè personalistica).
In questo progetto Matteo Renzi è di fatto uno dei due Dioscuri che traghetteranno il Pd in una nuova era che, a dirla tutta, avrà molto di nuovo ma anche tanto della così vituperata vecchia politica. L'altro, che piaccia o no, è Massimo D'Alema che ancora ieri sera in assemblea Pd veniva dato come migliore alternativa a Marini per il Quirinale.
D'altra parte Renzi e D'Alema non hanno mai dissimulato la propria reciproca malsopportazione, ma chi meglio di due acerrimi avversari per costituire un asse, informale, e porre fine alla prima fase del Pd? Poi a ciascuno il suo: il primo a guidare il nuovo Pd (o il soggetto che lo sostituirà) e il secondo a tramare nell'ombra cercando di assassinare (politicamente) il leader del momento dopo aver contribuito fattivamente a farlo diventare tale.

lunedì 8 aprile 2013

Il ricordo, a breve scadenza, dei suicidati dalla crisi

L'elemento comune di ogni drammatico caso di suicidio dovuto alle difficili condizioni economiche in cui versavano le vittime è il bailamme che si produce nei giorni successivoglio il conseguente vortice di analisi, commenti, invettive, proposte e ipotesi più o meno creative che ci si affretta a buttare nel tritacarne mediatico.
Di storie come quelle di Romeo Dionisi e di Anna Maria Sopranzi da Civitanova Marche ce ne sono, purtroppo, a bizzeffe nel nostro paese, così come negli altri. Storie che sembrano comuni almeno fino a che un epilogo tristemente tragico non le trasforma in storie da narrare, da sviscerare, da usare come grimaldello squisitamente mediatico - nella maggior parte dei casi -, strumentalmente politico - in qualche caso - e strettamente funzionale, risolutivo e propositivo - in una microscopica percentuale di casi.

Insomma, di tutto questo carrozzone il dato peggiore sarà l'oblio che avvolgerà i nomi di Romeo e Annamaria, così come ha avvolto i nomi di Francesco Fabbri, Walter Ornago, Michele Calì e di tutti gli altri che oggi vivono esclusivamente nel ricordo e del ricordo dei loro cari. 
C'è poi chi non si accontenta di raccontare la storia del momento ma si lancia nella cronistoria dei casi analoghi in modo da offrire una case history dal vago senso professionale, così, tanto per non fare la parte di quello che scrive ad hoc sul tema.

È giusto parlare di loro, delle loro vite, delle loro esistenze conclusesi così drammaticamente? Si, non solo è giusto ma è fondamentale perché le loro storie non restino tali.
Ma è giusto farlo in questo modo pret-à-porter? No, non solo non lo è, ma è profondamente irrispettoso, offensivo e soprattutto da codardi rincorrere la tragedia e cavalcarla, rivolgerle un'attenzione tanto marcata e morbosa quanto subitanea e volubile. 

Forse, anche per questo motivo, almeno le contestazioni e le critiche rivolte nei confronti delle figure istituzionali andrebbero considerate e interpretate dai media, dalla politica e dagli opinionisti fuori dalle consuete e sottostimanti categorie del qualunquismo, dell'antipolitica o dell'autoreferenzialità.



mercoledì 3 aprile 2013

Ve la do io la strategia!

L’accanimento con cui i media nazionali e locali si rivolgono contro, a favore e in generale verso il tema Movimento 5 Stelle è evidente.
I cosiddetti ‘grillini’ sono il focus del momento, e a ben ragione, nonostante tutto, se lo stanno meritando. Meritano un po’ meno sia l’estrema cieca fiducia che molti ripongono in loro, sia l’eccessivo sospetto con il quale altrettanti accolgono ogni dichiarazione e ogni gesto dei pentastellati.
Medesimo ingiustificato approccio lo si è registrato in queste giornate a seguito delle scelte fatte da Movimento 5 Stelle sulla formazione del governo e sui nomi da indicare. Ebbene, se da cittadino posso dirmi in qualche misura preoccupato per l’immobilismo che sta caratterizzando la politica italiana (non meno ovviamente della svolta iper-presidenzialista e extra-costituzionale intrapresa da Napolitano), da osservatore non posso non condividere le scelte perseguite dai ‘grillini’.
M5S è una formazione politica – chiamatela come volete: movimento, associazione o partito fluido – che ha come unica e inestimabile moneta di scambio la credibilità. 
I grillini, infatti, non hanno pedigree né esperienze che possano testimoniarne le capacità, le competenze e le potenzialità, almeno nella politica e nell’amministrazione. Elementi importanti per offrirsi nelle prossime competizioni che potrebbero non essere adeguatamente maturate (o quanto meno dimostrate) nel corso di una legislatura troppo breve. 
Nel Movimento 5 Stelle ciascuno vale uno ma nella sostanza la vera forza sta nel numero e nella falange (per fortuna non armata) che i neoeletti compongono, nella coesione e nello spirito di squadra, qualcuno lo definirebbe cameratismo, che li contraddistingue.
Ogni scelta che si allontana anche solo minimamente da questa combinazione è foriera di danni in termini di consenso e di sostegno che una formazione politica nuova e fluida come M5S non può permettersi.
Di fatto, agli antipodi del multiformismo perseguito e costitutivo del Pd, in antitesi con il depauperamento individuale che caratterizza il Pdl, il M5S si fonda su una piattaforma partecipativa monolitica ed open source, purché l'accesso sia strettamente vincolato al rispetto (intransigente) di principi e leggi cardine interni al movimento.
La coesione e la forzata omogeinità, così mal sopportate da grandissima parte della stampa (tradizionale e non) e da una ancora più larga fetta di opinionisti nostrani, sembrano essere ormai sdoganate dal senso comune, quello che in questi ultimi giorni sembra invece essere molto più difficile comprendere e condividere è l’intransigenza con la quale Grillo e i vari portavoce e capigruppo pro tempore hanno deciso di rispettare e promuovere.
No a qualsiasi ipotesi che non preveda un esecutivo non pentastellato. No ai saggi anche se l’idea non era male. No a governissimi o ai governi del presidente. No agli inciuci e ai compromessi.
No a ripetizione, ma erroneamente e diversamente da quanto sostenuto da moltissimi, non un No a prescindere, non un No a priori, senza se e senza ma, ma un No necessario a tutelare la propria credibilità. Un No utile come ossigeno per permettere al Movimento di sopravvivere in questa seppur breve legislatura e ancor di più di poter capitalizzare la combinazione coesione/intransigenza/credibilità e raccogliere ancora più voti alle prossime imminenti elezioni.
Elezioni politiche che, sarebbe duopo ricordare, si terranno in concomitanza o poco prima di quelle europee e amministrative che interesseranno buona parte dei maggiori comuni italiani.
La strategia di Grillo, Casaleggio e del resto dei neoeletti è perfetta e finora non ha fatto perdere nemmeno un punto ai pentastellati checché ne dicano i vari opinion-makers, anzi è vero il contrario, reggendo la barra a dritta M5S può solo che guadagnarci. Il frame “destra e sinistra sono tutti uguali” è ormai ben radicato, i proto-tatticismi dei due maggiori partiti di centrosinistra e centrodestra, nonché la sempre peggiore performance del Capo dello Stato, messa in atto per dirimere quello che di fatto è stato il prodotto (pessimo) delle scelte operate alla fine del 2011, non fanno che rafforzare questa immagine di inciucio continuo – vero o presunto non importa – ben rappresentato dalla squadra dei 10 “saggi” indicati proprio dallo stesso Napolitano.
Questa è la differenza tra tattica e strategia, tra il perseguimento di obiettivi di lungo periodo e quelli di breve periodo. Al momento gli strateghi del M5S non hanno sbagliato nell’investire tempo e forze guardando ben oltre il traguardo imminente. Abbiamo avanti ancora diversi mesi per vedere se decidere di puntare sulla credibilità e sviluppare nel frattempo il proprio pedigree dentro le istituzioni potrà confermare il trend positivo dell'approccio grillesco.